Chadō 茶道 la via del tè della Scuola della Scuola Urasenke
Una delle più suggestive cerimonie della cultura giapponese a cui ho potuto assistere grazie al festival della cultura che si è tenuto a Civitavecchia il 2 e 3 ottobre 2021 con la presentazione di questa disciplina.
Chi conosce il Giappone, o anche solo ha immagini del Sol levante (da televisione, film e altro), gli salta subito in mente questa disciplina e l’associa alla bellezza e alla solennità di un’arte centenaria che tutt’ora ha un ruolo importante nella società del Giappone.
Andiamo con ordine cercando di dare un’idea di cosa sia il Chadō usando anche le parole che la maestra Emma Sōsei Di Valerio, una delle maestre della dimostrazione, ha usato per spiegarci le basi di quest’affascinante disciplina.
La cerimonia del tè è arrivata in Giappone nel XIII secolo attraverso i monaci buddisti dalla Cina, ma fu grazie al maestro Sen no Rikyū 千利休, intorno al XVI che la codifico in precisi rituali e ne mutò la filosofia di base facendola arrivare ai giorni d’oggi invariata nella forma e nel pensiero. Ciò che fece il maestro fu un modificare e adattare le procedure, ma soprattutto gli oggetti che si usano durante la cerimonia con quello che il Giappone dell’epoca poteva permettersi. Gli strumenti cinesi utilizzati erano tutti ben lavorati, pregiati, quindi cose che non tutti si potevano permettere e questo andava ad incidere con uno dei fondamenti portati avanti dal Chadō: l’equità.
Usando le parole della maestra Di Valerio, nella cerimonia del tè non importa lo status sociale, non importata quando uno sia ricco o importante, ma importa la QUALITA’ della persona. Un concetto incredibile, soprattutto per l’epoca a cui questa disciplina apparse. Il maestro rivoluzionò anche l’utilizzo degli strumenti per la cerimonia, per farvi alcuni esempi, il piccolo “cucchiaio a stelo lungo” Chashaku 茶杓 in origine era ricavato dall’avorio (materiale poco conosciuto in Giappone, ma soprattutto molto costoso) ma fu sostituito con del semplice bambù, lo stesso materiale che si usa tutt’oggi. Lo stesso vale per la scatoletta che contiene il tè, che altro non era che un semplice contenitore per le medicine.
La cerimonia a cui abbiamo assistito era una forma ridotta perché normalmente durerebbe molte ore, in quanto si condivide insieme il tempo e ci si immerge in uno stato di godimento dei 5 sensi appagando al tempo stesso il proprio senso estetico. Lo stand era sistemato con un paravento di sfondo e un rotolo a parete, chiamato kakemono 掛物, riportanti i 4 punti cardini della disciplina del tè, ognuno legato intimamente all’altro che si chiudono a cerchio: ARMONIA, RISPETTO, PUREZZA e TRANQUILLITA’.
La “scenografia” ci mostrava un tavolino e due appoggi laterali sul quale trovava posto il bollitore, il 釜 kama, con il piccolo mestolo in bambù chiamato Hishaku 中国の柄杓 che serve per prendere l’acqua calda o fredda da usare per stemprare la polvere di tè verde il matcha 抹茶. Per questo tè si usano solo i germogli della pianta fatti asciugare all’aperto all’ombra, questo mantiene tutte le caratteristiche organolettiche della pianta intatta, non si usano le foglie che darebbero un sapore troppo forte alla bevanda. Abbiamo anche un contenitore per l’acqua fredda, e il chaki 抹茶, ovvero la piccola scatolina che contiene la polvere di tè con sopra il Chashaku 茶杓, il lungo cucchiaino di bambù, e la tazza per il tè Chawan 茶碗.
La cerimonia incomincia con la pulizia della tazza con un pochino di acqua calda e asciugata con il Chakin 茶巾 un piccolo fazzoletto in lino utilizzato per asciugare la tazza. Prima di mettere la polvere di tè utilizzando il chashaku questo viene pulito tramite un fazzoletto ripiegato in maniera molto affascinante, una semplice piegatura che appare con un rito preciso e codificato che ha lasciato incuriositi molti alla presentazione (infatti è stato oggetto di domande), una volta inserito il tè nella tazza va stemprato con l’acqua calda e amalgamato grazie all’uso del frullino di bambù chiamato Chasen 茶筅. Il tutto va miscelato per bene finché non si ottiene una schiuma in superficie, questo è segno che i due elementi si sono ben amalgamati se no c’è il rischio di avere acqua e tè separati.
Una volta pronto il tè viene servito e anche in questo caso assistiamo a uno dei rituali classici prima di consumare la bevanda, ovvero il giro della tazza. Anche quest’operazione è stata tra le protagoniste delle domande, perché la cosa ha incuriosito molto. La maestra Di Valerio ci spiega che la tazza utilizzata viene presentata per il “verso” più bello, sempre per il rispetto che si ha verso il nostro ospite. Ma chi lo riceve prima di bere farà fare 2 mezzi giri così da non bere dal verso “bello” della tazza. Ha stupito l’ultimo atto del rito del bere ovvero il risucchio (piuttosto sonoro), anche questo fa parte dell’etichetta (anche se potrebbe sembrare il contrario) perché è una forma di rispetto bere fino in fondo tutto il contenuto della tazza. Una volta terminato l’ospite provvederà a ringraziare per il tè "Taihen oishuku chodai itashimashita" (che tradotto vuol dire “il tè era molto buono”).
La cerimonia si conclude con la pulizia della tazza e del frullino in bambù utilizzando l’acqua calda. E’ incredibile la ritualità di ogni gesto, colpisce per esempio la posa del mestolino di bambù che si usa per prendere l’acqua. Movimenti delicati, precisi per posizionarlo dopo averlo usato. È una disciplina che di sicuro ha il suo fascino e colpisce lo spettatore non solo per la ritualità ma per i significati profondi dei gesti e dell’atmosfera. Mi ha colpito la spiegazione della maestra per quel che riguarda le cerimonie più moderne che non solo si svolgono sul tatami ma che prevedono anche l’uso di piccole sedie. Questo ci riporta all’inclusività di questa disciplina, perché l’uso di piccole sedie fu introdotto con l’arrivo degli occidentali che avevano difficolta a stare seduti sul tatami. Il massimo rispetto ed equità tra i partecipanti nel principio fondamentale in base a cui non ci sono distinzioni dentro la stanza del tè.
Volevo chiudere l’articolo parlandovi delle maestre che ci hanno permesso di assistere a questa magnifica dimostrazione e del centro culturale di cui fanno parte.
La maestra Emma Sōsei Di Valerio che ci ha introdotto alla cerimonia del tè rispondendo alle nostre domande, che ci ha accompagnato nel mondo della cerimonia del tè e la maestra Saiko Sōsai Mizuki che ha materialmente svolto la cerimonia mostrandoci con grande eleganza e delicatezza un’arte che ormai si tramanda da centinaia di anni e di generazioni. Come noterete tra i nomi delle maestre appare Sōsai e Sōsei, questi sono titoli che vengono assegnati in base al grado di conoscenza e competenza che i maestri raggiungono in anni di studio.
Si …… parliamo di anni di studio perché come giustamente diceva all’inizio la maestra Di Valerio questa è un’arte, ma anche una disciplina che vuole ed esige tempo e studio, una “volta intrapresa la via del tè questa ti accompagna per la vita”. Bellissime parole.
Entrambe le maestre fanno parte del Centro Urasenke di Roma. Il centro è stato creato nel 1969, quando Michiko Nojiri, incaricata dal XV Sōshitsu Sen, gran maestro della scuola Urasenke, di vedere se ci fosse la possibilità di espandere la tradizione della scuola anche in Italia. Il centro porta avanti la cultura legata alla scuola Urasenke che dopo il ritiro della maestra Michiko Nojiri è lasciato nelle mani dalle due maestre che ci hanno portato la stupenda dimostrazione di cui vi ho raccontato.
Vi lascio alcuni contatti nel caso voleste saperne di più o contattarli:
- Centro Urasenke di Roma: Via Giovanni Nicotera, 29, 00195 Roma RM Tel. 06 320 7361